Il Paraninfo

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locdoviIL PARANINFO

Una commedia semplice ma al tempo stesso arguta che diverte e fa riflettere sull’importanza del matrimonio. “Il paraninfo” scritto dal verista Luigi Capuana è dedicato alla figura ormai inesistente di chi, per diletto, “accoppiava” o per meglio usare le parole dell’autore “accuchiava” le persone.
Quello apprezzato sul palco del Teatro IMPERO di Marsala è un paraninfo, interpretato dal bravissimo Manlio Dovì che vuole ad ogni costo sistemare gli scapoli del paese in cui vive. La motivazione ufficiosa è quella che don Pasquale Minnedda (il paraninfo appunto) vuole vedere tutti lieti e rintracciando nelle nozze la via per la felicità, crea queste unioni (che spesso si rivelano fallimentari). In realtà il vero fine di cotanta magnanimità è un altro: ammogliare gli “scapoloni” così da evitare probabili avvicinamenti alla sua amata e bellissima coniuge Rosa.
Dovì mette letteralmente sul palcoscenico, i panni dell’ex maresciallo della Guardia di Finanza don Pasquale Minnedda.
Diviso tra i rimproveri alla governante Antonia e le lusinghe all’affascinante moglie Rosa, il paraninfo racconta l’intento di compiere una vera e propria impresa ovvero far sposare le poco affascinanti, ma molto benestanti, sorelle Matamè.
Per tale motivo, invita nel cortile di casa per un caffè i papabili mariti: un professore ed un tenente. Il primo colto e saccente, il secondo rigido e alquanto ottuso. Don Pasquale, per raggiungere il suo scopo, ovviamente sorvola sull’aspetto delle due donzelle ponendo l’accento invece sulla loro ottima condizione economica.
Dopo tanti giri di parole, il paraninfo convince i due giovani uomini ad incontrare le sorelle Matamè, ma allestisce il tutto come un finto sopralluogo nelle casa delle donne per constatare i danni di un terremoto avvenuto diciotto mesi prima.
Tutto questo per non creare imbarazzo alle due sorelle, apparentemente molto riservate, che non avrebbero mai accettato un incontro palesemente indirizzato ad un fidanzamento. Le due donne, convinte che il professore e il tenente siano dei commissari venuti realmente a verificare i danni per poi elargire fondi statali, si presentano in condizioni totalmente indecorose come testimonianza della loro fittizia situazione di precarietà.
Il siparietto che ne deriva è un susseguirsi di equivoci e allusioni che ha generato ilarità dilagante in platea.
Vedendo le “bruttine” sorelle, i due giovani uomini non solo non accettano più di convolare a giuste nozze ma si scagliano violentemente contro don Pasquale, reo di averli ingannati.
Attanagliato dalle critiche, non solo da parte del tenente e del professore, ma anche da altri personaggi adirati con il poco oculato paraninfo, don Pasquale torna a casa dalla sua bella Rosa per trovare conforto. Ma invece trova due giovani scapestrati che gli fanno credere di essere stato sfidato a duello dal tenente.
Qui tutta la bravura di Dovì prende corpo attraverso le sue straordinarie doti mimiche, sorprendendo positivamente il pubblico presente. Compreso che il duello era in realtà tutta una farsa, don Pasquale gioisce nel constatare che il professore e il tenente scoprendo il reale patrimonio delle sorelle Matamè, alla fine chiudano un occhio (e pure due) sulla mancata avvenenza delle due donne sottoscrivendo così il proverbio che “i soldi fanno tornare la vista ai ciechi”.