È la terza novella della nona giornata del “Decamerone” di Boccaccio, una delle opere più note ed irriverenti della letteratura italiana, ad aver ispirato Aldo Lo Castro a scrivere la commedia “L’Arte della Beffa”. La via comica che propone da talune novelle, lo spessore e il “taglio teatrale”, con cui sono stati disegnati numerosi personaggi, seducono e non poco. È un mondo di avventurieri, di imbroglioni, di beffeggianti e beffeggiatori, di donne disinibite e disponibili quello descritto dal Boccaccio. La terza novella della nona giornata è stata, dunque, rivisitata, ricostruita e trasferita in una terra che ben si presta a far da sfondo alla trama: la Sicilia.
Sulla scena, pertanto, la lingua, gli umori e le caratteristiche della gente dell’isola e s’incastoneranno nell’umanità boccaccesca in cui intelligenza e arguzia si propongono in maniera irriverente e mai scontata.
Sicuramente lo studioso e il purista di turno ci perdoneranno se la lingua usata è quella siciliana, così accattivante e colorita, e se il testo originale ha perso le antiche sembianze per far posto ad una pièce che si snoda rapidamente sui ritmi della commedia dell’arte. Non ce ne vorrà, ne siamo certi, neppure messer Boccaccio il cui spirito scanzonato e licenzioso aleggia allegramente su questa singolare beffa.
Trama: È Tano che alle spalle dell’ingenuo e sempliciotto Bernardino (il Calandrino della novella di messer Boccaccio), trama per architettare una diabolica ed efficace burla per impossessarsi degli averi del malcapitato, tutto questo con l’aiuto della stessa moglie del povero Bernardino, Nedda (che frattanto cerca di suscitare l’amore nel cuore di Tano con non poche difficoltà), del fratello Paolino e della giovane Carmelina, fidanzata di Paolino. È Affidata agli stessi Paolino e Carmelina la funzione di cantastorie, saranno proprio loro, infatti, a raccontare i vari passaggi da una scena all’altra, come accadeva ai tempi delle novelle di Boccaccio.